martedì 2 dicembre 2008

Non si può morire per amore.

È morto per una cotta adolescenziale, per una lettera d’amore indirizzata a una ragazza appartenente a una casta superiore. Se Shakespear fosse ancora vivo probabilmente scriverebbe una tragedia sulla fine inaccettabile di un ragazzino di 15 anni: purtroppo a volte la realtà supera anche ogni sorta di immaginazione.

Manish aveva 15anni. Manish era indiano. Manish si era invaghito, come spesso accade, di una ragazza e aveva affidato ad un foglio, l’estate scorsa, la sua dichiarazione d’amore.

Non c’è niente di più quotidiano e di più bello: ma non per lui perché con quelle parole ha firmato la sua condanna.

È stato preso mentre andava a scuola, picchiato, bastonato, portato per la strada con la testa rasata e poi gettato sotto un treno sotto gli occhi impotenti della madre che invano chiedeva pietà.

La sua colpa? L’oggetto del desiderio era una ragazza appartenente ad una casta superiore e i genitori dell'amata avevano intercettato la lettera.

Ogni cosa è divisa per casta: i pasti, le occupazioni, il luoghi di preghiera e anche le tombe nei cimiteri cattolici.

Nonostante la costituzione indiana moderna consideri illegale la divisione in caste e considera un reato qualsiasi discriminazione in base a ciò, il sistema non si è indebolito ma è restato molto saldo soprattutto nelle zone di campagna.

Sarà, ma a sentire queste cose il concetto di uguaglianza sembra sempre più un’utopia finchè ci saranno persone bigotte e dalla mentalità preclusa da vecchi pregiudizi insensati ed infondati. E non si tratta di fare moralismo, si tratta che di fronte a fatti di cronaca del genere inizialmente si stenta a credere che sia veramente realtà e che poi si arrivi alla solita detta e ridetta conclusione “In che mondo viviamo?”.

Perché di fronte a tutto questo, di risposte non ne trovo nè spiegazioni se non quella di inciviltà, pura e semplice.

Non si può morire per una lettera d’amore, non in questo modo.

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